Poeta e Critico d’Arte ROMA
Il rifiuto dell’esistente e la consequenziale voglia –bisogno di cambiarlo è, come sappiamo,la precondizione di ogni autentica espressione artistica.
Lo scrittore,infatti, non racconta ma, per dirla con Vargas Llosa, "inventa esseri e storie per ribellione all’esistente". Creatività artistica è, quindi, fabbricare, con l'immaginazione e i desideri usando penna e pennello, pentagramma o scalpello, l’ipotesi di altrove e di alterità al quotidiano negato.
Già, ma con l’obbiettivo fotografico come la mettiamo?
Inquadrato così, in quest’ottica che focalizza natura e qualità della foto pittura, il lavoro di Paolo Romani tenta una risposta a questa domanda con la difficile sintesi fra tecnica e trasfigurazione che si traduce in immagini dette con la sintassi poetica di una creatività indagatrice della verità sottesa alla verosimiglianza del reale.
Ed è una risposta che si porta dentro tutte le incertezze ed i dubbi che si esprimono questo tempo di crisi dell’arte: qual è la realtà sensibile fuori del controllo diaframmatico o dell’occhio vagante della videocamera?
Com’è se c’è la realtà univoca marcata stretta dalla serialità di repertorio? Che fine fa questa benemaledetta realtà con la resurrezione che uccide la morte?
Ecco, dietro questo inquietante ossimoro sta l’esigenza ineludibile, che anche Romani avverte,di dare spessore di senso all’immagine attraverso la dimensione temporale o meglio il sentimento che nutre, con la capacità di durata il carattere non contingente del valore espressivo.
Romani, insomma, con spericolata convinzione, arrischia il doppio salto vitale nella quarta dimensione recuperando lo spessore di vissuto che sostanzia la sua facoltà inventiva.
E allora non ci resta che seguirlo nel suo viaggio, a partire dal clic sull’apparenza come big - bang di una ipotesi di realtà in progress,punto d’avvio di un evangelium che redime il peccato originale della parzialità soggettiva con la grazia dell’autenticità colta al volo ai margini del caos.
Il suo obiettivo è drogato dal filtro di una fantasia visionaria che si iconografia dell’iperbole ottica. E, tuttavia, la scrittura del viraggio racconta lo scavo dentro l’involucro visivo per coglierne il grumo di verità oltre ogni straniata apparenza.
Del resto Paolo Romani ha capito e fatto proprio da sempre questo difficile statuto estetico e vive, anche con ironia, la sua “diversità” snobbando certi commentatori e critici, attardati catalogatori di generi, che rimangono smarriti e spesso spiazzati, con i loro logori arnesi analitici, di fronte a cose che non riconoscono.
Già, perché il loro problema è problema è proprio questo: non cercare di capire, di scoprire, di conoscere, ma soltanto, pigramente, di ri-conoscere il dejà – vu.
Fuori, quindi,degli schemi usuali si collocano, in questa bella mostra marguttiana, i "pezzi unici" di Romani che usa, appunto, l’obbiettivo, il negativo e la stampa come altri i polpastrelli, i pennelli, gli scalpelli, come, insomma, Burri usava i sacchi e le bruciature, Fontana lametta e tela, Duchamp il water o i manici di bicicletta via esemplificando gli infiniti “medium “ linguistici della creazione artistica. Nella fattispecie, dal “flou” di J. M. Cameron che agli inizi del secolo trasformò un difetto della macchina in un effetto artistico, alle manipolazioni foto seriali di Andy Warhol o le successive esperienze foto trasgressive di h. Newton e R. Mapplethorpe, fino alle graffiature sulla stampa elettrostatica su plastica da dia di Stefano Arienti o, appunto, all’originale e rigorosa metodologia di Paolo Romani che ha scartato le scorciatoie, oggi tanto di moda, delle pigre e fredde manipolazioni via Polaroid o computer, realizzando pezzi unici stampati a mano, cioè, da un solo negativo a colori che una volta collocato nell’ingranditore non viene più spostato. Ogni stampa perciò è un originale, né più né meno di un quadro. né trasgressione, né contaminazione, dunque, quella di Romani, bensì sintesi di un duplice apparato tecnico – espressivo che si fa comunicazione visiva di suggestioni emozionali e, insieme, trasmissione di memoria storica che la dimensione onirica non violenta ma invera e coinvolge.
Ma c’è di più.
Anche il processo mentale è lo stesso del pittore in rapporto ai materiali che esso usa nel suo lavoro.
Infatti,le tecniche d’intervento di Romani sul negativo sono motivate e necessitate dall’elaborazione mentale dell’immagine “pensata”dall’artista fuori dalla camera oscura, così come la fantasia del pittore progetta il quadro prima e lontano dal cavalletto e dalla tela.
E questo, badate, resta vero persino nel caso della pittura gestuale, dove il processo progettuale avviene a livello inconscio in rapporto dialettico con l’atto creativo.
Ma stabiliamole pure, se volete, le differenze con la pittura – pittura, che non è poi così difficile.
A stringere, infatti, se siamo d’accordo con Baricco che un bel quadro "ti svuota lo sguardo", potremmo dire chela fotopittura di Romani è, al contrario, "quel che non vedi ma senti" e te lo porti dietro e ti rimane addosso come l’odore leggero e intrigante degli aranceti o quello speziato dei suk arabi, come zaffate di emozioni insomma .
Prendiamo le immagini qui esposte, tutte centrate su via Margutta e guardiamole attentamente una ad una; è un buffo ingorgo di memoria e sensualità che ti lascia impressi dentro sguardi e corpi, teste, gesti e dettagli, ombre e luci, lampi surreali e intuizioni impressionistiche di persone e personaggi che sono via Margutta per come è stata ed è e che, senza chiederti il permesso, t'iscrivono d’autorità in un album di famiglia che ti vincola ad un codice di complice apparenza.
Crea, alla fine, un clima quasi pirandelliano di pittori, scultori, barbieri, antiquari, galleristi, restauratori – arredatori, semplici abitanti di ieri e di oggi, vecchie trattorie e nuovi locali, fontane e cortili, quinte e palcoscenico dove registi, attori e scenografi, scrittori e critici insieme ad insegnanti dell'Accademia e della vicina Scuola S. Giacomo, sono di casa e convincono in una via Margutta che ci viene incontro da questi rettangoli “trenta quaranta” vestiti di luce e colore, concreta e impalpabile come i luoghi dello spirito.
Del resto, era ora che qualcuno si prendesse la briga di ricordare un po’ a tutti gli indifferenti ed i cinici di questo nostro tempo disincantato e feroce il fascino che ancora sopravvive in questa "via degli artisti" come volle chiamarla cinque secoli fa Paolo III e che ha accolto in questi cinquecento anni le testimonianze, le presenze, gli incontri e gli scontri, le sregolatezze e l’impegno dei più rappresentativi protagonisti dell’arte italiana ed europea. E non parliamo solo di pittori e scultori ma di scrittori e critici, poeti ed attori, registi e scenografi e musicisti.
Pensate che ai primi del ‘700 all’imbocco della strada verso Piazza di Spagna c’era il più grande teatro della città,andato poi distrutto da un incendio.
Ma fermiamoci qui perché non è la sede né l’occasione per approfondire una memoria storica che esigerebbe ben altro spazio ed impegno.
Non potevamo però non accennarvi perché, tra l’altro, questa mostra, voluta e realizzata con coraggio ed amore della gallerista e pittrice Carla Gugi, non a caso viene inaugurata il 14 luglio che ci rimanda non solo alla presa della Bastiglia ma anche alla XIIa edizione della “Festa della Magnolia”, festa per ricordare l’orgogliosa ribellione dei marguttiani all’abbattimento della enorme pianta d’alloro esistente in un famoso cortile e la loro risposta con la messa a dimora, nello stesso punto, di una magnolia che da allora è testimonianza del passato e promessa di vita futura per questa strada che non può e non deve morire.
Così deve pensarla, noi crediamo, anche Paolo Romani se ha centrato il suo obbiettivo sui protagonisti dell’oggi di questa storica via per costruire una mostra non celebrativa ma finalizzata a cogliere la vitalità, direi l’autenticità moderna,che sta dentro i volti ed i gesti,le pietre e l’acqua.
Chissà, forse anche lui come il Palomar di Calvino nutre l’ambizione di "guardare le cose per catturare la loro verità", forse anche il suo lavoro, ed è il nostro augurio, riuscirà a diventare come Palomar "una finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo".
Scrittrice e critica cinematografica ROMA
Presento volentieri le fotografie di Romani, perché le trovo molto belle, molto strane, molto particolari. In un momento in cui la perfezione dei mezzi tecnici fa di tutti - potenzialmente - dei fotografi, Romani riscopre un artigianato della fotografia, una tecnica, una voglia di ricerca che trasformano le sue fotografie altrettanti pezzi unici, in un’immagine irripetibile e personale. La sua ricerca parte dallo scatto, ma si completa in camera oscura ,dove lavora con grande abilità il negativo ed elabora le stampe fino ad ottenere degli effetti particolarissimi che ricollegano le sue fotografie alla pittura, quanto meno nell’unicità del risultato di ogni immagine. Con gusto, con cultura e anche con il coraggio di ricollegare la fotografia alla sua grande rivale – la pittura – da cui si staccò a poco a poco centocinquant’anni fa.
Pinacoteca Comunale JESI
“Scolpisce col segno nell’ombra e nella luce”: può essere Paolo Romani, foto/ artista, che incide sul colore. (Di Henry Moore si diceva: Ai confini della luce “ addolciva” la pietra). Romani opera, con l’impalpabile linguaggio foto-ottico, ricercatore di nuove tecniche. Ricerca più tecnica, esasperata; a mascherare contenuti dell’usuale territorio della fotografia / ma riuscendo ad attingere a poetiche atmosfere, a trasfigurazioni / del reale – che è sempre colore.
C’è Jesi / nella sua collezione: un ritorno alle radici, una rivisitazione con chiavi d’artista visivo; c’è la Moda , d’autore; ritratti e nature morte; c’è Firenze, Venezia – fascinose, universali; c’è la danza, la forma-movimento, ipotesi d’una condizione umana altra. Dunque Paolo Romani vive nel presente, disegna col mezzo fotografico un suo territorio fisico – spazio nella nostra cultura - che attraversa col linguaggio cosiddetto per immagini; ma questa provenienza dal reale e concreto della attualità, che urge e chiama d’attorno coi suoi modelli, è discorso di storia e di tecnica della fotografia: macchina, procedimenti, invenzioni. Personalità, nel solco della storia.
Le scoperte di Niepce attenevano alla stampa. Daguerre: civiltà del ritratto miniato su avorio. Fox Talbot, disegno (la Natura disegna da sé, senza mano d’uomo).
Tecnica sembra escludere poesia, ma Romani perviene a raffinatezze in cui fa convivere le due situazioni. Esistono fotografi artisti che assumono le tecniche a puri strumenti, a “registri” d’una realtà non casuale, da poter coniare in termini di / negativi positivi densità di contrasti rapidità di tempi / da fissare e trascrivere per forme e per ritmi (quasi musica)- quasi ricerca d’uno spazio diverso, con l’ansia per una differente dignità culturale da applicare -diresti- ad un versante nascosto del percorso d’artista.
È chiaro che il “bello della tecnica” non procede dal caso, dal fare alchemico in camera buia / inseguendo ghirigori della fantasia in libera uscita: la tecnica della produzione dell’immagine, delle scritture fotografiche esige una lettura differente: c’è un modello per la ricerca. Può essere rifiuto dei generi fotografici /di tradizionale aulica cultura: il paesaggio e il ritratto, il nudo e il controluce, la foto di gruppo – tutta materia prima di chiara matrice pittorica. Possono darsi i generi della micro o macrofotografia, i quali sono scritture, come si sa; vere e proprie trascrizioni fotografiche / buone per una lettura analitica critica - cioè, non didascalizzata dalla parola: eppure, per differenti contesti, sempre una differente significazione di genere.
Dal prodursi in ritratto al fotografare un paesaggio (nella tipica iconologia delle cartolina-paesaggio), o impaginare una veduta urbana- alla Walker Evans; analizzare architetture, come monumenti (utilità venustà certezza d’eternità); leggere in vista d’aereo lo spazio del terrestre, lo spazio urbano, lo spazio antropizzato, del vissuto / da indagare: alla fine il problema del lavoro fotografico è analisi dei materiali / è problema di scrittura fotografica – nello specifico: come operare? perché in tale maniera?
La precedente mostra fotografica jesina con L. Formigoni propose un pò il ritorno alle origini delle tecniche storiche, quasi un documentare- “riscoperto“ – le scritture fotografiche, i modi e la cultura del trasferirle in codice.
Con Paolo Romani si va a titolare “l’ultimo capitolo“ della storia, il più recente /intriso di attualità e di futuro in fotografia. Così, tra ricerca d’antico e ricerca del nuovo, con A.C. Quintavalle, si precisa una risposta al quesito Cosa è scrittura? Cosa è fotografare?- Fotografare non è costruire una immagine bella: è lavoro; è attenzione al proprio momento di lavoro: è, in sintesi, attenzione al processo di lavoro che conduce alla immagine “ / che qualifica. Potremmo affermare che per Paolo Romani questo lavoro attiene alla materialità della scrittura nel labirinto della forma-colore; è invenzione e verifica; è ricerca sul mezzo (sul medium), indagine sulle tecniche, sullo svolgimento di una precisa tecnica personalizzata, segreta.
Romani viene a Jesi in antologica di “belle“ foto / da leggere col senso della complessità dell’indagine svolta / e delle soluzioni tecniche proposte: belle immagini, affascinanti in un labirinto (contesto) di tecniche della manipolazione in laboratorio. Qualcuno dirà che non sono da trattenere / sigillate in custodia per il godimento di pochi in gruppo, di club: sono tante le immagini scritte, create per correre vita nel mondo per, mostrandosi, mostrare.
La Mostra di San Floriano insegue la forma estensiva del labirinto / geometrizzato sopra il disegno- proiezione, in pianta, della cupola soprastante, dei segni architettonici che addensano in forma – volume- colore / ideali d’arte d’un’epoca fastosa: percorrere, pausato il passo, il viaggio / da una foto all’altra, in successione di temi scandito / vale accogliere il suggerimento dell’architetto ideatore dell’allestimento quando il visitatore vuol porre / a interessarlo, “da dentro la macchina”, al lavoro del fotografo, al processo del misterioso rituale, della magia tecnologica trattata da mano /d’artista sperimentatore creatore.
Entrare, e intus lingere: aprire l’otturatore, soglia magica del catturare luce-forma esterne. Compiere il viaggio nel buio / bucarlo, per fissarsi in pellicola la quale - a questo punto forse a te e forse a tutti- elargirebbe una forma fissa, dalla tipologia dei modelli chiamati in posa.
Paolo Romani da questo momento invece chiede modelli/ che si facciano “altri” fra le sue mani: con la sua scrittura fotografica, col segno- documento del proprio territorio culturale - sperimentale, col sistema collaudato di linguaggi per immagini uniche per tecnica ed espressione creativa.
Intervento dell’Autore Maestro: questioni di emulsione, di indici di rifrazione della gelatina, di ritocchi, di bagni d’arresto, di fissatori lavaggi soluzioni… Chi sa la magia?
Segreto di immagine che nasce, si fa fotografia ma nel coincidere di fenomeni fisico – chimici l’immagine di luce, il modello esterno catturato sul “campo “si trasforma in materia manipolata, trattata ri-creata in laboratorio. Si fissa. Un alone di poesia schietta si sviluppa, la foto è arte: per le mani di Romani rifiuta il ruolo di mera documentazione, si veste di soluzioni visive originali, assume vita propria- in perfetta chiarezza, in gradevole coerenza visiva. Tu, visitatore della mostra-labirinto, uscendo potresti avere misurato tale forza d’artista /espressa nella serie di "scritture".
Generate da materialità / manipolazione… L’artista, per misterioso fenomeno dello spirito umano, “vede” interiormente /le immagini del proprio linguaggio: queste consegna, con stupore e felicità. Tutte le arti sono ugualmente linguaggio: tutte / intuizione- espressione. E tecnica, di mano maestra. Tecnica e "oltre": Paolo Romani, fotografo artista. Labirinto / e rilevante "chiarezza" Arte.
Presidente di Palazzo Grassi VENEZIA
Poche città sono state dipinte, fotografate, cinematografate, descritte, sognate, cantate, come Venezia.
poche città accompagnano con una propria immagine il viaggiatore per seguirlo con il ricordo, come Venezia.
Ricordo che non può ovviamente sostituirsi alla realtà di una città la cui vera sostanza è più inafferrabile e spesso sorprendente di quanto si creda.
Si racconta che un nababbo, tornato dal suo lontano oriente, nello spiegare ai cortigiani come non aveva trovato la Città, capì che invece l’aveva trovata, ma era tanto splendida e diversa, che non l’aveva riconosciuta come città.
E pianse perché capì che come aveva visto la più grande delle meraviglie, l’aveva perduta…
Gli rimase nella mente un’immagine e, col tempo, si convinse di averla sognata.
Con questa fantasia raccontata da un grande scrittore si propone il dubbio, tutto letterario, che il doppio sostituisca la realtà, che insomma più che Venezia ne sia nota l’immagine, o un sogno pittorico, o una romantica inquadratura.
Per alimentare il sogno, offriamo queste immagini realizzate con una tecnica insolita da Paolo Romani.
Immagini che sono fotografiche, ma che si compongono di memorie pittoriche, una visione di Venezia che proprio per la sua ambiguità stimola il rimpianto e il desiderio di andare oltre gli effetti del miraggio penetrarne la sfuggente realtà.
Istituto Europeo di Design ROMA / Responsabile Scientifico e Culturale
È un artista caratterizzato da una forte personalità e da conoscenze con profonde radici nel campo della pittura. Romani è un fotografo che si contraddistingue da tutti gli altri colleghi: le sue immagini sono molto originali sia per il particolare uso delle tecniche di stampa sia per gli effetti cromatici che riesce ad ottenere.
Le sue foto sembrano delle tele sulle quali si è divertito a dipingere con un attento e delicato lavoro in camera oscura. Scrivere con la luce in camera oscura… sembra un paradosso, ma Paolo conosce tutti i segreti della stampa a colori e ama scoprire straordinarie alchimie per rendere le sue immagini sempre diverse.
È un artigiano del colore, riesce a governarlo ed esaltarlo fino ad inventare nuove dimensioni visive. Le opere che Paolo realizza in camera oscura sono sempre degli esemplari unici perché le stampe, anche dello stesso fotogramma, presentano sempre colori e stili diversi. Nell’era del digitale e del consumismo iconico si ritrova la magia, e il valore dell’unicità dei dagherrotipi. La fase dello scatto è solo il momento di partenza di un percorso che troverà la sua completezza nella fantasia della camera oscura. Romani come fotografo, nel momento della ripresa, usa fotocamere semplici e non segue accorgimenti particolari.
Ogni stampa nasce solamente riportando il negativo sulla carta fotografica a colori, è stampata a mano e senza supporti elettronici di alcun tipo. Paolo ha una grande passione e una inesauribile creatività. È un artigiano che filtra, cesella il colore delle3 emulsioni della carta, crea effetti particolarissimi che ricollegano le sue fotografie alla pittura. Gli ho domandato a quali fotografi famosi si ispira, lui mi ha citato William Turner, Giovanni Boldini, Henri de Toulouse-Lautrec… che sono dei grandi maestri della pittura! Le foto di Paolo, infatti presentano forti richiami ai pittori impressionisti, sono lavori che hanno carattere. Il copioso curriculum testimonia lo spessore e i risultati raggiunti dopo quasi trent’anni di carriera, un fotografo che ha sempre vissuto a Roma e da poco tempo trasferito a Castelbellino, in provincia di Ancona.
Non è facile sintetizzare i successi di Paolo, un percorso iniziato quasi quarantenne con le prime ricerche sugli effetti del colore e sulle nuove tecniche di stampa. Ha pubblicato per la Ferrari, per l’editore Arpel Graphics (Santa Barbara, California), Palazzo Grassi Venezia, AZ –Gruppo Alitalia, sul libro d’arte dedicato allo scultore Umberto Mastroianni con prefazione di M. Calvesi) sul catalogo dell’agenzia giapponese Imperial Press Stock Photos, più volte con la Casa Editrice Arnoldo Mondadori. Ha collaborato con le agenzie The Stock Market di New York e l’Agenzia Franca Speranza di Milano. Ha esposto in tantissime mostre tra cui: SICOF 85, Cambridge Trust Bank (Massachusetts), Doyle Dane Bernbach di New York, Museo del Folclore di Roma, "Il Diaframma" "Il Saggiatore" di Via Margutta, l’Hype Gallery” di Arles.
Galleria "Il Diaframma" Kodak Cultura MILANO
Il romano Paolo Romani, selezionando nel mondo del reale le occasioni per le proprie elaborazioni pittoriche, messe a punto in anni di ricerche sulla filtratura, sull’emulsione, sulla rifrazione della gelatina, ottiene effetti impressionistici di grande suggestione.
Director Submitted Ideas Easteman Kodak Company Rochester NEW YORK
Ora abbiamo avuto l’opportunità di esaminare le tue fotografie con l’appropriata organizzazione Kodak.
Tutti sono d’accordo che questo genere di stampe sono di grande interesse.
Department of Photographs The Paul Getty Museum LOS ANGELES
Le immagini sono un esempio di stampe compite e belle di foto a colori… esse davvero richiama alla mente i lavori dei Pittorialisti Americani.
Ferrari World TORINO
La fotografia cattura il tempo, l’istante, congelandolo.
Romani con la sua tecnica dà alla fotografia un valore aggiunto, che si divincola, si libera dalla "gabbia" temporale nella quale la fotografia resta inevitabilmente rinchiusa.
Fondazione Italiana per la Fotografia / Direttore Esecutivo TORINO
Le immagini rivelano una notevole capacità di ripresa e un approccio soprattutto, per il ritratto, di suggestiva intensità.
La tecnica raffinata che rende le immagini non solo uniche, ma anche fortemente materiche rilevano un approccio pittorico alla fotografia proponendo un mix tra le due arti non casuale, che anzi sottende una certa padronanza di entrambi i mezzi.
Interessanti sono anche gli scatti più "creativi" che inducono a spingere all’estremo l’invenzione e la tecnica compositiva.
Critica d’Arte ROMA
In realtà come per un dipinto, ogni foto è un pezzo unico. E "tratta" il soggetto come un pittore che "gioca con la sua immagine ora deformandola con l’anamorfosi ora immergendola varie atmosfere così da far venire fuori l’altro che solo lui è riuscito a scoprire e di cui ci rende partecipi con l’opera finita".
Director Center For Creative Photography TUCSON (Arizona)
Il suo approccio alla fotografia, in modo di farla apparire una pittura, è affascinante ed innovativa.